Cyber Security: come lo smart working può mettere a rischio le aziende
Negli ultimi mesi, a causa della pandemia da Coronavirus, lo smart working è diventato all’ordine del giorno. Questo, a tratti nuovo, modo di affrontare il lavoro ha portato vantaggi e non sia sotto l’aspetto dell’efficienza che sotto il profilo psicologico dei lavoratori. Un aspetto che rimane poco discusso è quello della sicurezza informatica.
Secondo un’analisi di CyberArk, società che si occupa di cyber security nelle aziende, condotta alla fine di aprile 2020 su un campione di 3000 professionisti IT in Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Germania, lo smart working starebbe mettendo a rischio i sistemi e i dati sensibili delle organizzazioni, tra cui l’uso delle password e dei device aziendali da parte di altri membri dello stesso nucleo familiare. Dall’analisi è emerso che il 77% dei dipendenti utilizza dispositivi “BYOD” (Bring Your Own Device), ovvero dispositivi personali impiegati nel lavoro da remoto implicando accessi non sicuri alle informazioni aziendali.
L’analisi ha rilevato che i rischi sono più elevati quando si tratta di genitori che lavorano: essendosi improvvisati insegnanti, assistenti e compagni di gioco senza tenere in considerazione la sicurezza informatica quando si lavora da casa.
Infatti, la maggioranza di questi (93%) ha riutilizzato le password per applicazioni e dispositivi, il 29% ha concesso ad altri membri della famiglia di utilizzare i dispositivi aziendali, mentre il 37% non salva in modo opportuno e sicuro le password.
La velocità con cui si sono diffuse applicazioni e servizi per il lavoro da remoto ha ampliato la possibilità di attacco alla sicurezza delle aziende.
CyberArk ritiene, pertanto, che si dovrebbero aggiornare le strategie in materia di cyber security per adattarsi a questo presente e nuovo futuro in smart working, soprattutto per proteggere i lavoratori remoti che “distrattamente” potrebbero lasciare scoperti i canali aziendali.